Il progetto “Conosci il tuo territorio: una carta geologica in ogni scuola” parte dalla considerazione che la conoscenza del territorio, ed in particolare della sua natura geologica, costituisca un elemento fondamentale della formazione dei futuri cittadini, specialmente in un’area particolarmente vulnerabile come quella campana e nella prospettiva dei profondi cambiamenti climatici che si profilano nel nostro futuro prossimo.

Il Distar offre pertanto a ciascun Istituto Scolastico che ne fa richiesta:

  • una Carta geologica della Campania elaborata specificamente per le Scuole Superiori ed allestita per essere affissa a parete. Una serie di schemi a contorno introducono brevemente i principali temi di interesse sociale di carattere territoriale. E’ presente inoltre un link di “realtà aumentata” per accedere ad altre risorse che saranno periodicamente aggiornate;
  • una breve brochure intitolata: La Geologia della Campania, le risorse e i rischi, con un testo adeguato alle competenze ed alle conoscenze dei ragazzi degli ultimi anni delle superiori, e con i doverosi agganci ad argomenti che fanno parte dei programmi ministeriali (tettonica delle placche, ciclo delle rocce, vulcani e terremoti);
  • un video-tutorial, denominato “Una finestra sul sottosuolo: cos’è e come si fa una carta geologica(anch’esso collegato come link Zappar alla carta) che serve non solo a spiegare perché una carta geologica è lo strumento essenziale di indagine del sottosuolo, ma anche ad illustrare l’attività professionale del geologo.

I docenti del DiSTAR saranno a disposizione per ulteriore aiuto agli insegnanti per fornire assistenza alla strutturazione di progetti didattici, organizzazione di escursioni sul territorio e per brevi corsi di formazione specifici.

Seismic Educational

I meccanismi focali dei terremoti

L’animazione mostra come i sismologi individuano i meccanismi focali dei terremoti, cioè  il tipo, la direzione del movimento e l’orientazione del piano di faglia che scatena il sisma.  Essi vengono in genere rappresentati col tipico diagramma a “pallone da spiaggia”.
0.24 sec: com’è noto, esistono 3 basici tipi di faglie: normali (dirette, distensive), inverse (compressive) e trascorrenti (movimenti orizzontali destri o sinistri per semplificare). Per l'elaborazione si analizzano i primi arrivi delle onde P, guardando se il picco è verso l’alto (compressione) o verso il basso (dilatazione), delle varie stazioni distribuite sulla superficie in prossimità dell’evento.
1.00 sec: una volta individuato l’epicentro, si divide in quadranti l’area. Dove c’è compressione inziale il quadrante è identificato dai “+”, mentre dove c’è dilatazione iniziale i “-“. In questo modo si costruiscono i 2 piani coniugati possibili della direzione del piano di faglia e i 2 possibili movimenti, ma uno solo sarà quello reale.
2.00 sec: l’ambiguità sarà risolta dalla geologia, cioè dalle conoscenza storica e tettonica dell’area, delle faglie già esistenti o dalla dinamica in atto presumibile.
2.22 sec: vari esempi di faglie trasformi: Sant’Andrea, creste medio-atlantiche e ricostruzioni dei campi di sforzo da stazioni terrestri.
4.50 sec: Esempi di faglie dirette (orientazione prevalente verticale, normali). La compressione risulta nelle zone esterne rispetto all’epicentro. Se i 2 blocchi  a contatto scivolano e si allontanano tra di loro ci sarà compressione ai bordi e distensione lungo la faglia al centro.
5.40 sec: Faglie compressive (inverse). Viceversa, quando c’è compressione e scontro tra 2 placche, una di loro tende a salire rispetto all’altra, quindi il meccanismo focale risulta di tipo compressivo al centro del “pallone” cioè in prossimità della faglia (ipocentro/epicentro)
 

Amplificazione e liquefazione di edifici su differenti bedrocks


Animazione molto carina che mostra l'arrivo e l'impatto delle onde P, S e superficiali in 3 edifici ravvicinati. Il movimento degli edifici, ovviamente esagerato, rispecchia il moto al suolo registrato dai sismogrammi. Il 4° edificio sulla spiaggia mostra invece l'effetto di liquefazione dei sedimenti sottostanti. L'animazione termina con i sismogrammi reali degli edifici su bedrock e sedimenti.

Liquefazione e affondamento edificio


Animazione che mostra come la liquefazione di sedimenti compattati nella zona di San Francisco ha portato alla inclinazione delle case durante il terremoto del 1906, in particolare una casa vittoriana. Essa poggia su depositi palustri che sono stati coperti da materiali di riempimento alla fine del 1800. Lo scuotimento (shaking) sismico ha prodotto la liquefazione del riempimento tale da fargli perdere le sue capacità portanti.

Effetto Sand - boils ("ribolliture di sabbia")


Sabbie sature d'acqua possono eruttare alla superficie per formare vulcani di sabbia. Il terreno circostante si frattura e rompe.

Componenti del sismogramma


L'animazione mostra il movimento delle 3 componenti di base dell'onda sismica (P, S e superficiali) e il loro effetto su un edificio.
I 3 sismogrammi prodotti mostrano come l'onda P è più visibile sulla componente verticale mentre l'ampiezza dell'onda S è più accentuata sulle componenti orizzontali (N-S, E-W)

Fonte: www.iris.edu

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CAMPI FLEGREI

 

Stratigrafia dei Campi Flegrei

I Campi Flegrei sono un campo vulcanico che occupa una vasta area (circa 450 km2) che va dall’isola di Procida a buona parte della città di Napoli [1]. Sono formati perlopiù da vulcani monogenici, prodotti da una singola attività eruttiva di tipo esplosivo. Le rocce più antiche appartenenti a questo campo vulcanico affiorano proprio nel’area urbana napoletana e risalgono a circa 78mila anni fa. La storia eruttiva dei Campi Flegrei è sicuramente più antica ma i prodotti vulcanici precedenti sono alterati, quindi inadatti a essere datati. Considerazioni vulcanologiche e geocronologiche permettono di suddividere la storia eruttiva dei Campi Flegrei in quattro periodi [2]: Paleoflegrei (>74/78mila anni), I periodo (da 39mila a 74mila anni), II periodo (da 15 mila a 39 mila anni) e III periodo (presente a 15mila anni) [3]. I prodotti più antichi affiorano lungo il bordo della caldera associata all’Ignimbrite Campana e consistono in relitti di vulcani monogenici e subordinate lave separati da paleosuoli [4]. Intercalati a questi depositi si rinvengono prodotti vulcanici provenienti da altre aree di vulcanismo attivo quali le isole di Ischia e Procida.
       
 

Eruzioni che generano caldere

La struttura dei Campi Flegrei è fortemente condizionata dai due grandi eventi ignimbritici che hanno eruttato enormi volumi di magma e causato due sprofondamenti calderici 39mila anni fa, con l’eruzione dell’Ignimbrite Campana, e 15mila anni fa, con l’eruzione del Tufo Giallo Napoletano. Entrambe sono eruzioni Pliniane e hanno avuto un’evoluzione simile, iniziando con una fase da colonna sostenuta che ha depositato prodotti da caduta, seguita dal collasso della colonna eruttiva con la formazione di correnti piroclastiche che hanno accumulato spesse successioni piroclastiche. Al contrario, lo stile eruttivo dei due eventi, e, conseguentemente, i tipi di depositi sono notevolmente diversi. Quella dell’Ignimbrite Campana è un’eruzione magmatica e la fase esplosiva è controllata dai gas interni. Ciò genera juvenili ben vescicolati (pomici) ed elevate temperature eruttive che producono depositi da corrente piroclastica diffusamente saldati [5]. L’eruzione del Tufo Giallo Napoletano è il prodotto dell’interazione del magma in risalita con acqua esterna (eruzione freatomagmatica), che innesca un’intensa frammentazione del magma e la formazione di depositi cineritici [6]. Benchè questo tipo di interazione sia abbastanza comune nella storia eruttiva dei Campi Flegrei, di solito interessa piccole eruzioni. Quella del Tufo Giallo Napoletano è una delle rare eruzioni di tipo freatopliniano documentate nel mondo. L’eruzione dell’Ignimbrite Campana ha una magnitudo di 7.2 e un volume di 7.8 km 3 (DRE) per la fase da colonna sostenuta e di 67 km 3 (DRE) per la fase di collasso. La sequenza tipo è formata da dieci unità stratigrafiche che mostrano differenti litologie e dispersione [7]. Alla base affiora un deposito pomiceo da caduta, stratificato, disperso verso est. Questo deposito copre oltre 4000 km2 all’interno dell’isopaca dei 15 cm [8a]. Rinvenimenti distali sono distribuiti in Europa orientale e nel bacino del Mediterraneo [8b]. A tetto del deposito Pliniano da caduta affiora una complessa architettura di depositi di corrente piroclastica che mostra variazioni laterali di facies da una breccia grossolana, ricca in litici e depositi intensamente saldati nelle aree prossimali a depositi distali leggermente saldati o litificati [7]. Il Tufo Giallo Napoletano è costituito principalmente da depositi di correnti piroclastiche e subordinatamente da depositi da caduta. Lo stile eruttivo è principalmente freatomagmatico con limitate fasi magmatiche. Alla base affiora un deposito cineritico, sottilmente stratificato [9] che mantella la paleotopografia. Si tratta di un deposito da caduta con una distribuzione regionale prodotto durante una fase freatopliniana dell’eruzione. Successivamente si alternano livelli cineritici e pomicei da caduta. La parte superiore e più spessa della successione è costituita a numerosi livelli associati a varie litofacies che testimoniano il carattere fortemente instazionario e non-uniforme delle correnti piroclastiche che hanno sedimentato la maggior parte dei prodotti di quest’eruzione.
    
    

 

Prodotti post-calderici e bradisismo

Successivamente a entrambi gli eventi calderici la maggior parte delle eruzione è confinata all’interno delle aree sprofondate. Si formano numerosi edifici vulcanici che colmano le depressioni calderiche fin quasi a obliterare le strutture. Numerosi centri vulcanici affiorano ben all’interno dei limiti amministrativi della città di Napoli, il più giovane dei quali è l’isola di Nisida [10], che si è formata a seguito di un’eruzione esplosiva avvenuta soli 3.9mila anni fa. La presenza diffusa di vulcani che hanno eruttato recentemente testimonia dei rischi di una futura attività vulcanica esplosiva all’interno della città di Napoli. L’eruzione flegrea più recente è avvenuta nel settembre del 1538 quando, in una settimana, si è costruito un nuovo edificio vulcanico, il Monte Nuovo [11] lungo il litorale flegreo. Prima dell’eruzione si era osservato un arretramento della linea di costa causato da un sollevamento del suolo. I lenti movimenti del suolo (bradisismo) caratterizzano l’intera storia eruttiva flegrea e sono a tutt’oggi continuamente monitorati. Due intense crisi bradisismiche hanno coinvolto l’area flegrea all’inizio degli anni ’70 e ’80 determinando un sollevamento complessivo di oltre 3 metri, in corrispondenza della città di Pozzuoli.
 

Bibliografia

Fedele L., Esposito C., Franciosi L., Morra V.,  Perrotta A., Santangelo N., Scarpati C. 2016. Campi Flegrei e Procida. Guide Geologiche Regionali, Campania e Molise 69-80
Scarpati C and Perrotta A. 2016 Stratigraphy and physical parameters of the Plinian phase of the Campanian Ignimbrite eruption. Geological Society of America Bulletin v. 128, no. 7-8, p. 1147-1159
Scarpati C. , Perrotta A., Lepore S., Calvert A., 2013 Eruptive history of Neapolitan volcanoes: constraints from 40Ar/39Ar datings. Geological Magazine, 150: 412-425.
 
 

PROCIDA

 
[1] Carta geologica Procida 1-10000
 

Stratigrafia dell’isola di Procida

 
Le più antiche rocce affioranti a Procida appartengono a tre diversi centri vulcanici: Vivara (TVV), Pozzo Vecchio (PVH) [2] e Terra Murata (TMU). Le relazioni startigrafiche tra questi vulcani non possono essere ricostruite a causa della limitata dispersione dei loro prodotti [3]. I depositi di questi vulcani monogenici sono abbastanza simili e mostrano successioni stratificate di livelli di ceneri massive o gradate. Si osservano anche strutture tipo ‘sandwave’ e impronte da impatto che suggeriscono la messa in posto di questi prodotti da correnti piroclastiche e contemporanei impatti di proietti balistici. Questi vulcani sono coperti da una successione di tefra che consiste di nove depositi di lapilli pomicei da caduta, spessi da alcune decine di centimetri ad alcuni metri, intercalati da paleosuoli. Questa successione è stata intercalata con la Formazione di Pignatiello (PPA1) dell’Isola di Ischia (età tra 55 e 74 mila anni). I resti di un quarto vulcano monogenico (Fiumicello; TFM) [4] sono confinati tra i due depositi pomicei stratigraficamente più alti. Localmente, tre unità esotiche (di origine non Procidana) separate da paleosuoli, coprono la Formazione di Pignatiello. Questa successione è parzialmente erosa e nel canale di erosione si osserva un deposito cineritico associato al Tufo Verde dell’Epomeo (55mila anni, GA), la cui eruzione ha prodotto la caldera di Ischia. Questo deposito è coperto da un’estesa successione conosciuta come Breccia Museo, considerata la facies prossimale dell’Ignimbrite Campana (TGC) [5].
   
 
La Breccia Museo è suddivisa in quattro unità: l’unità di flusso pomiceo inferiore che è un deposito ricco in matrice e poco sortito. L’unità della breccia [6], la più estesa tra le unità della Breccia Museo, formata da litici grossolani. Un deposito formato da spatter saldati (unità spatter) è interstratificato alla base della breccia. L’unità del flusso pomiceo superiore si ispessisce nei bassi topografici, è incoerente, e mostra una leggera gradazione diretta di litici e pomici. In essa sono diffuse strutture di degassamento. Quattro depositi cineritici interstratificati con paleosuoli, separano la Breccia Museo dai depositi del vulcano di Solchiaro (SHI). Solchiaro è coperto da una successione di livelli cineritici e depositi da caduta, separati da paleosuoli (PD) [7]. Questa successione copre l’intera isola e rappresenta i prodotti vulcanici più giovani accumulati su Procida [8]. A Vivara, su Solchiaro, si osservano tre depositi cineritici ed un deposito lapilli pomicei. I depositi cineritici più recenti contengono frammenti di terracotta dell’Età del Bronzo.
 
  
 
Ricostruzione paleogeografica dell’isola di Procida
(9) Evoluzione Procida
 
L’inizio dell’attività vulcanica in quest’area è ancora incerto, con un limite superiore a circa 70mila anni fa. Tre edifici vulcanici rappresentano i prodotti delle più vecchie manifestazioni vulcaniche dell’isola: gli anelli di tufo di Vivara e Pozzo Vecchio (che ha prodotto anche una fase effusiva) e il cono di tufo di Terra Murata. Questi vulcani sono mantellati da nove depositi pomicei da caduta che rappresentano la facies distale di prodotti eruttati a Ischia e dispersi verso Est. Un altro anello di tufo, Fiumicello, testimonia di una nuova fase esplosiva a Procida, tra 77 e 55mila anni fa. L’attività successiva è caratterizzata dalla messa in posto di correnti piroclastiche provenienti sia da Ischia che dai Campi Flegrei. Nei successivi 16mila anni si sono accumulati sull’isola solo sottili livelli di ceneri da caduta.
39mila anni fa, l’eruzione dell’Ignimbrite Campana cambia completamente la topografia del campo vulcanico dei (paleo)flegrei. Quest’eruzione inizia con una colonna sostenuta da cui si disperde materiale piroclastico fino al Mare Egeo. Quindi, un'enorme corrente piroclastica, spessa oltre 1 km, invade una vasta area, seppellendola sotto decine di metri di sedimenti e provocando il collasso di un ampio settore crostale e producendo una caldera. Nelle aree prossimali, inclusa Procida, si accumula una spessa successione di depositi saldati e brecce litiche. Questa successione tende a riempiere le depressioni topografiche fra i vecchi edifici vulcanici. Se si escludono sottili livelli cineritici, l’eruzione dell’Ignimbrite Campana è seguita da un lungo periodo di quiescenza di circa 20mila anni. L’attività successiva avviene circa 19/17mila anni fa con la costruzione del vulcano di Solchiaro, che rappresenta l’ultima attività vulcanica di Procida. Dopo la deposizione di altre sottili ceneri distali circa 15 mila anni fa i prodotti di una nuova grande eruzione, quella del Tufo Giallo Napoletano, seppelliscono una vasta area intorno i Campi Flegrei e producono una seconda caldera. Successivamente a queste fasi costruttive per accumulo di prodotti vulcanici una profonda erosione subaerea e marina incide le successioni vulcaniche dell’isola e rimobilizza una grande quantità di materiale piroclastico.
 
Bibliografia
Carta Geologica Isola di Procida 1:10000
Perrotta Annamaria, Scarpati Claudio, LuongoGiuseppe, Morra Vincenzo 2010, Stratigraphy and volcanological evolution of the southwestern sector of Campi Flegrei and Procida Island, Italy, in Groppelli, G., and Viereck-Goette, L., eds., Stratigraphy and Geology of Volcanic Areas: Geological Society of America Special Paper 464, p. 171–191, doi: 10.1130/2010.2464(09).

ShakeMap

Come da disclaimer delle pagine del website dell'INGV da cui è tratta questa sezione, le mappe di scuotimento - ShakeMap - sono calcolate solo a fini di ricerca e danno esclusivamente stime indicative dello scuotimento sofferto. Esse sono calcolate automaticamente dai dati strumentali registrati dalle stazioni sismiche ed aggiornate man mano che nuovi dati diventano disponibili. Le mappe non hanno alcun valore ufficiale e l'INGV declina ogni responsabilita' da un uso improprio delle informazioni in esse riprodotte.

The maps of ground shaking - ShakeMap - published in this web site have been determined only for research purposes and provide preliminary and incomplete estimates of the experienced shaking. They have been determined automatically from the instrumentally recorded data by the seismic stations and are updated as more data become available. The maps do not have any official value and INGV declines any responsibility from an improper use of the information therein represented.

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